Amo osservare luoghi abitualmente affollati della città, quando determinate condizioni metereologiche come la pioggia, la nebbia, o la semplice foschia ne modifica la fisionomia trasformandoli in spazi silenziosi, a tratti quasi onirici, dove la presenza umana si riduce al minimo, oppure è del tutto assente.
Gli angoli delle nostre piazze, le strade, i vicoli, ma anche quegli spazi più aperti che in genere vediamo brulicanti di gente che freneticamente si fa largo tra i rumori assordanti, in queste condizioni ed in alcuni orari, spesso assumono un altro aspetto, quasi si svuotano, ed acquistano quell’innaturale silenzio che ci riconcilia con la città e che ci avvolge.
Così “l’indefinito” e “l’indeterminatezza” che scaturisce da quei luoghi avvolti dalla foschia e drasticamente ridotti nella presenza umana (quando non sia addirittura assente) fa assumere allo spazio urbano un fascino inusuale, ovattandone persino i suoni, e ci invita a guardare oltre la superficie di quegli stessi luoghi caotici, per scoprire angoli di quiete nascosta, o per immaginare le dimensioni di una possibile affabilità urbana impregnata di silenzi, mormorii, brusii… Un binomio affascinante di vaghezza ed indefinito nelle immagini e silenzi, sussurri e fruscii nei suoni, che ci immerge in atmosfere magiche e ci porta verso una dimensione onirica della vita vissuta nelle nostre città.